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Pane Civraxiu



Da oltre dieci anni nella mia famiglia prepariamo il pane in casa e negli ultimi tempi anch’io mi sono avvicinata al misterioso mondo del pane e dei lievitati. Nell’alternanza di successi e fallimenti abbiamo applicato varie modifiche, a volte procedendo anche solo per tentativi, che pian piano arricchiscono la nostra esperienza e conoscenza intorno alla produzione del pane. Sebbene i risultati si stiano rivelando sempre più soddisfacenti, siamo comunque ben consapevoli che abbiamo ancora da imparare  e da migliorare.
In questo post vi racconto passo per passo il procedimento che abbiamo seguito per ottenere il risultato rappresentato nella foto.

Come potete ben immaginare fare il pane in casa non è un lavoro semplice e richiede grande impegno ed esperienza, ancor di più se la cottura avviene nel forno a legna. Il pane che vi sto per presentare è un pane tipico della regione Sardegna che viene denominato in differenti modi in base alla zona di produzione. Nel campidano viene comunemente chiamato Civraxiu Modizzosu, e viene preparato con semola di grano duro e lievito naturale. Per la preparazione di questo pane ogni famiglia segue un suo metodo di produzione che porta a risultati leggermente differenti. Per esempio: in alcune zone dell’Ogliastra si preferisce ottenere un pane basso e largo senza presenza di crepature sulla superficie, a differenza delle  zone del Campidano  dove invece viene maggiormente apprezzato un pane con la classica forma a “ vulcano” (è una mia definizione!), cioè alto con una spaccatura centrale. Tali differenze sono determinate principalmente dal livello di idratazione dell’impasto e dai tempi di lievitazione, anche se, sia ben inteso, questi non sono gli unici fattori che impartiscono specifiche caratteristiche, ma bisogna tener conto anche di altre variabili quali la modalità di impastamento, la  temperatura dell’acqua, la temperatura del forno ecc.
Di seguito vi parlerò del nostro pane, e vi descriverò le varie fasi di lavorazione. Non escludo ovviamente che il nostro modo di operare possa presentare qualcosa di errato, ma sono qui per raccontare e condividere la mia esperienza e non per insegnare come si fa il pane, anzi mi piacerebbe si aprisse un confronto con altre persone che sono solite preparare in casa questo tipo di prodotto.
Il lavoro per la preparazione del pane si suddivide in varie fasi: la sera prima della panificazione si prepara un primo impasto che andrà a costituire il lievito e che dovrà riposare per tutta la notte (questo tecnica di lavorazione si definisce metodo indiretto). Il giorno seguente, l’impasto verrà completato con l’aggiunta dei restanti ingredienti. Seguirà:
 la prima fase di lievitazione; la formatura dei pani; la seconda fase di lievitazione e infine la cottura
Ore 20: Inizio dei lavori (purtroppo non dispongo delle foto per documentare ogni fase ma prometto che provvederò ad aggiornare alla prossima panificazione).
Prepariamo la miscela di sfarinati che utilizzeremo per la preparazione del nostro pane. Nelle ultime due panificazioni abbiamo deciso di utilizzare una miscela di varie farine di grano duro, ma queste sono delle scelte del tutto soggettive e si può fare anche utilizzando integralmente semola. Noi abbiamo ripartito le diverse farine in queste quantità: 

  • 80% di semola di grano duro;
  • 15% di rimacinato di semola di grano duro;
  • 5% di integrale.

Per 8 kg di miscela di sfarinato avremo:

  • 6400 gr di semola;
  • 1200 gr di rimacinato;
  • 400 gr di integrale.

Preparazione del primo impasto.
Come già detto,l’impasto che ci apprestiamo a preparare, svolgerà la funzione di lievito per l’impasto che verrà lavorato e ultimato il giorno successivo. La sua quantità rispetto all’impasto complessivo non dovrà considerarsi fissa, ma varierà in base alla temperatura: in inverno con basse temperature ne servirà di più, mentre in estate ne useremo una quantità inferiore.
Ora vi spiego come abbiamo  proceduto e in quali percentuali abbiamo  preparato il nostro “primo impasto”. Per questa panificazione, viste le basse temperature della stagione abbiamo deciso di preparare 1500 grammi di impasto.
Ingredienti:

  • 180 grammi di pasta madre;
  • 885 grammi di rimacinato (prelevati dai 1200 gr della miscela) ;
  • 435 grammi di  acqua  (temperatura di 20-22°C).

 In termini percentuali:

  • 29 % di acqua;
  • 12% di pasta madre
  • 59 % di rimacinato

Questo impasto andrà a costituire circa 11% dell’impasto totale ( o se preferite il 21% rispetto al peso della farina). In estate, o comunque con temperature più alte è meglio diminuire questa percentuale.
Impastiamo i tre ingredienti fino ad ottenere un composto ben compatto e liscio. Gli diamo la forma di una sfera, lo mettiamo in un contenitore capiente coperto con della pellicola e lo facciamo  riposare in un luogo non troppo caldo dove la temperatura oscilli intorno ai 20-22°C
Il giorno seguente: il momento della panificazione. 
La mattina seguente impastiamo la rimanente miscela di farine con circa il 55% di acqua, ossia i circa 7 chili di sfarinati avanzati con circa 4 litri d’acqua, e lavoriamo fino ad ottenere un impasto ben amalgamato e liscio (purtroppo non avendo  l’impastatrice ci avvaliamo della forza di otto braccia!). In questa fase è preferibile utilizzare dell’acqua a temperatura più o meno ambientale, che nel mio caso è stata di circa 20°C.
Facciamo riposare quest’impasto per un’ora coperto con della pellicola per evitare che sulla superficie si creino delle croste. Durante questo riposo nell’impasto avvengono delle trasformazioni chimiche e fisiche che, se procediamo correttamente anche in tutte le altre fasi, ci permetteranno di ottenere un prodotto più voluminoso, con una mollica morbida e soffice e una migliore alveolatura. Questo modo di operare prende il nome di metodo autolitico e si consiglia la sua applicazione quando si panifica con delle farine che hanno un glutine tenace, proprio come quello che caratterizza la semola di grano duro. 
Le più importanti trasformazioni che avvengono durante il riposo sono tre.
Una delle tre trasformazioni vede coinvolte le amilasi, degli enzimi presenti nelle farine e responsabili dell’innesco di alcune reazioni chimiche. Questi enzimi attaccano gli amidi trasformandoli in zuccheri semplici, mettendo a disposizione di batteri e lieviti elementi nutritivi di immediata disponibilità e favorendo in tal modo  la successiva fase di lievitazione.
L’altra importante trasformazione riguarda le catene proteiche che formano la maglia glutinica. Esse, per azione delle enzimi proteasi (anch’essi presenti nella farina) vengono scomposte in catene più corte, rendendo il glutine meno tenace e in un certo qual modo determinando un suo indebolimento. Questo spiega perché un impasto dopo un periodo di riposo risulta essere più malleabile ed estensibile.
Infine, in concomitanza con questo allentamento del glutine, si verifica anche un  rafforzamento della sua maglia. Infatti, grazie all’ossigeno incorporato durante la lavorazione, si innescano delle reazioni di ossidazione che interferiscono con alcuni gruppi che compongono il glutine. Si creano così dei nuovi legami tra le catene, chiamati ponti disolfuro, che conferiscono una maggiore elasticità al glutine rendendolo capace di assorbire maggiori quantità di acqua e di aria.(Fonte: dolcesalatoweb.it[1])
Trascorsi 60 minuti di riposo riprendiamo il nostro impasto e aggiungiamo i restanti ingredienti ossia:

  • 1500 grammi di impasto preparato la sera prima (ossia il lievito);
  • 120 grammi di sale
  •  1 litro circa di acqua.

Per facilitare l’assorbimento del lievito nell’impasto lo sciogliamo in un’ opportuna quantità d’acqua. 
Facciamo la stessa cosa anche per il sale in modo da evitare l’eventuale permanenza nell’impasto di cristalli interi. Dopo aver unito questi due ingredienti all’impasto lo lavoriamo per bene e valutiamo se necessita di ulteriore idratazione. Nel nostro caso specifico, utilizzando la suddetta miscela di sfarinati abbiamo utilizzato in totale circa 5 litri d’acqua (4 litri aggiunti per amalgamare tutta la farina e un ulteriore litro aggiunto in quest’ultima fase di lavorazione). L’impasto deve essere morbido, le mani devono poterlo schiacciare con facilità e su di esse non deve rimanere pasta appiccicata. Tutta l’acqua deve essere ben assorbita dall’impasto  il quale deve presentare un aspetto opaco e liscio.
Disponiamo l’intera massa di pasta in un capiente contenitore di terra cotta, copriamo e lasciamo lievitare per due ore. Come già spiegato, i tempi di lievitazione sono sempre relativi alle temperature e all’umidità  Le temperature ottimali per la prima fase di riposo si aggirano intorno ai 28°C. Noi in inverno cerchiamo di ricreare un ambiente caldo intorno al pane mediante l’utilizzo di coperte e di pentole piene d’acqua calda.
Durante questa prima fase di lievitazione, chiamata puntata, avviene la riproduzione di lieviti e batteri, che dovrebbe terminare quando l’impasto comincia ad accennare ad un leggero aumento di volume. La vera e propria fase di fermentazione e il conseguente aumento di volume dovrebbe avvenire dopo la formatura del pane per poi proseguire e raggiungere il suo massimo dentro il forno durante la cottura. 
La puntata  è soggetta a molte variabili che portano a risultati differenti: c’è chi evita tale fase e passa direttamente alla formatura del pane prolungando i tempi di questa seconda lievitazione, altri accorciano i tempi della  puntata e  allungano i tempi di fermentazione ( cioè il riposo del pane formato) o viceversa. Sono tutte opzione che ognuno dovrebbe scegliere sulla base del tipo di prodotto che si vuole ottenere.
Noi in questa panificazione abbiamo fatto una puntata di due ore ad una temperatura di circa 23-25°C.
Trascorse le due ore procediamo alla formatura dei pani. Senza lavorare e senza strapazzare troppo l’impasto stacchiamo dei pezzi di pasta con le mani leggermente umide.
Modelliamo cercando di ottenere dei panetti tondi chiudendo il taglio e facendo in modo che la parte superficiale dell’impasto che abbiamo tagliato costituisca sempre la superficie esterna della sfera che stiamo creando. E’ molto più semplice da farsi che a dirsi
Via via  che formiamo le pagnotte le disponiamo all’interno di contenitori di plastica ricoperti con dei tovaglioli cosparsi di farina.
In questo modo infatti il pane crescerà più facilmente verso l’alto ed eviterà di allargarsi. Molte persone ancora oggi dispongono i pani ben stretti l’uno affianco all’altro separati mediante i lembi di una tovaglia,  su dei grandi cesti con il fondo piano. In questo modo i pani si sostengono vicendevolmente.
Dopo la formatura lasciamo trascorrere altre due ore durante le quali il pane crescerà poco meno del raddoppio. Il momento giusto per l’infornamento è quando il segno che lasciamo premendo con un dito sulla superficie del pane  torna su. Questo dimostra che all’interno del pane c’è una sufficiente quantità di aria e di gas (in particolare l’anidride carbonica che viene prodotto durante la fermentazione) che risponde alla pressione esercitata. Se inforniamo in questo momento il calore determinerà un’espansione dei  gas provocando di conseguenza la crescita del nostro pane.

Un discorso a parte meriterebbe la preparazione del fuoco. La cottura nel  forno a legna come dispone la tradizione sarda, è certamente un pò difficile e solo con l’esperienza si potranno raggiungere dei buoni risultati. Tutto è relativo al tipo di legna che si utilizza e alle dimensioni del forno. Noi iniziamo ad accendere il forno circa due ore e mezzo prima dell’orario previsto per l’infornamento e in quest’arco di tempo bruciamo una quantità di legna pari a tre-quattro fascine del peso di circa otto kg l’una.

Le fascine sono costituite da frasche ( importante che siano ben secche e private del fogliame) di diverse varietà di piante quali cisto, ulivo, olivastro, lentischio, vite.
 Dopo aver bruciato tutta la legna, la base del forno viene pulita mediante l’ausilio di due scope  che vengono costruite legando alle estremità di due  bastoni  due  mazzi di rametti freschi di lentischio, come si vede in questa foto. 



Con la prima scopa si toglie via il grosso dal piano del forno, cenere ed eventuali resti di braci, e si raccoglie il tutto davanti alla bocca. 


A questo punto controlliamo la temperatura del forno con un metodo empirico che consiste nel gettare una manciata di farina sul fondo del forno: se questa non brucia all’istante, ma trascorre qualche secondo ( due-tre secondi, non di più) prima di scurirsi, significa che la temperatura del forno è quella giusta. Se la temperatura dovesse risultare troppo alta la farina brucia appena tocca la superficie del forno e nell’eventualità si può bagnare l’altra scopa utilizzata per la seconda pulitura del forno. Può essere più difficoltoso se la temperatura risulta troppa bassa perché in questo caso si dovrebbe aggiungere dell’altra legna ma ciò comporterebbe un ritardo nell’infornamento che potrebbe ripercuotersi negativamente sui tempi di lievitazione del pane. Ed eccoci finalmente al momento della cottura. Uno per volta disponiamo i pani sulla base della pala





 Inforniamo



Il tempo di cottura del pane varia dai 40 ai 50 minuti.
E questo è il risultato finale








Per il momento si conclude qui il racconto della nostra esperienza. Durante la prossima panificazione  mi impegnerò a fotografare ogni fase di lavorazione e aggiungerò un post con le sole immagini.

References

  1. ^ dolcesalatoweb.it (www.dolcesalatoweb.it)

Ricerche frequenti:

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